ALLA SCUOLA DEI MIEI SOGNI


Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera di una studentessa dell'ultimo anno del Venturi.

 

Cutrì Alessia

Liceo Artistico A. Venturi

5D

Il 7 Gennaio 2019

 

 

ALLA SCUOLA DEI MIEI SOGNI

 

 

Sono serviti sei anni, due milioni di Euro e forse una protesta da parte degli studenti per rendere di nuovo agibile la sede storica di Via De’ Servi del Liceo Artistico Venturi.

Non pensavo, onestamente, che avrei vissuto il trasloco, il trambusto, la scomodità e la meraviglia di questo nuovo posto.

 

 

Durante l’inaugurazione, oggi, qualcosa mi ha smosso. Forse i corridoi larghi, i gradini meno ripidi, la vista su La Ghirlandina. Forse il punto di ristoro o i bagni alla turca!

Vivo in questa bellissima scuola da sei lunghi anni e, con un sorriso malinconico e i lacrimoni agli occhi, mi accorgo che mancano pochi mesi all’addio.

Forse è per questo che digito i tasti del mio pc proprio ora. Proprio nel fatidico giorno del trasferimento. Del rientro dalle vacanze di Natale.

Credo sia dovuto al fatto che realizzo le cose sempre troppo tardi.

Sinceramente, non so cosa ho da realizzare. Se non un sogno.

Provo a chiudere gli occhi e vedo molte cose. Molti colori. Molte forme.

Vedo nel passato una ragazza che frequenta la terza media e che si è recata a Modena per visitare il Venturi. Riconosco in lei un senso di inferiorità e impotenza davanti a dettagliati dipinti. Le batte forte il cuore e crede che sia impossibile raggiungere un livello di bravura così alto in ciò che per lei è sempre stato solo, o forse NON solo, un passatempo.

La ragazza, una volta tornata a casa, si getta sul letto e scrive su un foglio i pensieri che sono sorti nella sua testa durante la giornata.

Mi ricordo che quella ragazza era leggermente abbattuta dall’orientamento al Liceo. Non pensava di essere capace. Non pensava di diventare brava. Ma soprattutto… Non pensava che si sarebbe affezionata così tanto a quella scuola da lì a qualche anno.

 

 

Troppa gente non apprezza il Venturi. “Organizzazione zero!”, “Che orario orribile!”, “Che scuola di merda!”

E a volte non posso nemmeno biasimarli.

Ma io sto amando tutto di questa scuola. Con tutti i suoi difetti e le imperfezioni.

Dovete credermi quando dico che ho amato questo Liceo dal momento in cui Ciro ha chiamato al megafono la 1H.

Ho amato una pera appoggiata accanto ad un vaso. Ho amato le mani sporche di grafite scura. I jeans macchiati di tempera e acquarelli.

Ho amato così intensamente e dolcemente un bicchiere di vetro con una foglia di plastica incastrata al suo interno. Il peso del cavalletto sulle mie gambe. La sensazione delle setole di un pennello che facevano pressione sul bordo del contenitore riempito con un po’ d’acqua. Le ore ricalcate sul chiaroscuro di una rosa. L’andatura del pelo di una volpe e le pagine che mi raccontavano di come la parte destra del nostro cervello riuscisse a controllare le forme.

Vedo la ragazza che sulle scale del secondo piano di Sgarzeria si sente a mancare perché sa che in quelle aule ci sono i computer per chi ha scelto l’indirizzo di grafica.

La vedo mentre cammina velocemente per raggiungere la classe prima che la campanella suoni. Poi la osservo tornare a casa, stanca e contenta della sua giornata.

E mi ritrovo a scrivere sul mio portatile alle tre del mattino per consolarmi e dichiarare i miei sentimenti nei confronti della scuola dei miei sogni.

Questo è davvero un sogno che si è realizzato.

Chiudo nuovamente gli occhi e immagino il futuro.

Vedo la porta dell’Accademia, imboscata tra i portici del centro che aspetta di essere aperta da me. E io che aspetto di aprirla.

Voglio innamorarmi di nuovo. Voglio riprovare tutte le belle cose che sentivo quando tiravo fuori le matite dal mio zaino. Sistemare il foglio sul leggìo. E finalmente creare.

Creare e inventare e fantasticare e ideare e, finalmente ancora, disegnare.

Un “passatempo”, credevo io. Un semplice hobby. E invece è la mia vita. La mia passione più ardente, la mia ambizione più brillante e il mio sogno più bello.

Ma non posso esserne sicura. Siamo solo a Gennaio.

Eppure sento di aver vissuto in questa mia casa per abbastanza tempo da poter dire che già mi manca.

Domani rientrerò nella nuova sede e ne sentirò ancora quel profumo che mi ricorda, non so perché, la cartapesta. Voglio sfiorare con lo sguardo le colonne portanti all’entrata e sapere, con sollievo, che un giorno i ragazzi svampiti del secondo anno ci scriveranno sopra frasi anticonformiste e disegni mozzafiato.

Voglio godermi questi ultimi sei mesi ampliando i miei sensi. L’odore del caffè al bar la mattina o il fastidio al naso dovuto alla polvere. Adoro anche quello.

Lo adoro perché è come se a breve dovranno mandarmi via di casa. Ed è buffo che io spero che succeda! Perché dopo aver vissuto in questo mio castello, andrò ad abitare in un regno. E sarò un valoroso servo ed un umile maestro.

Ho il cuore grande e non posso cambiarlo. Voglio infilarci dentro tutti i quadri che ho analizzato, tutte le poesie che ho letto, tutte le teorie che ho sviluppato con dei lunghi ragionamenti.

Dopotutto, il Venturi ha almeno la metà di me. Della persona che sto diventando e dell’adolescenza. Che ho cautamente posato tra le pareti della vecchia sede di Via Sgarzeria. Forse anche un poco della mia infanzia che si è nascosta tra le mura di San Filippo Neri.

Il Venturi è la mia dolce metà, in qualche modo. E non so perché mi stia agitando tanto nello scrivere questa lettera d’amore. Mi sento come bloccata in quello spazio che divide il vetro dall’opera d’arte. Contemporaneamente, sto guardando il quadro al di là della teca.

Sento di avere un’espressione da ebete nell’ammirare il senso della mia vita. Che ritrovo nella fessura che si apre tra le labbra dell’autoritratto di Courbet. Nella tenda che si scosta nell’Incubo di Fuseli.

Pura bellezza. E io non la capisco, questa meraviglia. E’ solo così bella… E porta in grembo le parole di una poesia, i tratti di uno schizzo. E le mie ciglia che si chiudono.